venerdì 21 settembre 2012

L'illusione del controllo totale



Sempre più spesso sento parlare di controllo, di auto-controllo sulla propria vita nei vari aspetti che la compongono, allo scopo di migliorare l'esistenza e di poter così vivere giorni più ricchi, più felici. 
Quasi che la felicità passasse solamente attraverso quella che personalmente considero l'illusione del controllo totale.
Credo che dietro a questa illusione, ci sia una paura atroce dell'altro; non solo dell'altro che si approccia a me, ma anche (e soprattutto) dell'Altro che abita in noi stessi, a volte così sconosciuto proprio perchè mai gli si è dato voce, mai lo si è ascoltato veramente.
Secondo alcuni, solamente attraverso il controllo totale del corpo, del linguaggio, delle emozioni, del tempo si può vivere veramente nel mondo contemporaneo. Eppure, più si cerca di controllare tutto, più tutto sfugge irrimediabilmente, come sabbia tra le dita, per dirla con un'immagine poetica.
E che dire dell'alterità? Anche qui vale lo stesso concetto: più si cerca di cancellarla, per evitare la paura dell'ignoto che a essa è connaturata, più questa si impone, emerge. 
Ed ecco, allora, che più il tempo passa, più aumenta l'intolleranza verso chi è portatore di quell'alterità. Che poi è ognuno di noi, perchè tutti siamo altro per l'altro. 
E, assieme all'intolleranza, nasce anche la necessità di controllare la paura, caratteristica magistralmente sfruttata da responsabili politici in Italia, in Francia e negli Stati Uniti, probabilmente memori di ciò che ebbe a dire Machiavelli quando scriveva che la vera arma del Principe è la paura, perchè solo colui che è capace di controllare la paura degli altri diventa poi <<signore della loro anima>>.
Ciò che veramente disturba nel mondo contemporaneo è la differenza, perchè essa mette in crisi tutti i tentativi di omologazione. Ecco perchè si tende a voler controllare tutto: per appiattire ogni cosa, per sentirla più uguale a noi stessi, alla cultura a cui apparteniamo.
Ma quale sarà, poi, la cultura più valida che può permettersi una tale operazione? Io credo nessuna.

giovedì 20 settembre 2012

Fare i conti con le nostre ferite



In uno dei suoi ultimi libri, dal titolo "Cosa fare delle nostre ferite? La fiducia e l'accettazione dell'altro" edizioni Erickson, Michela Marzano ci regala ancora una volta sassolini di riflessione sul mondo contemporaneo e sulle sue distorsioni.
Ciò che mi ha particolarmente colpito, è come sia diventato prioritario mostrare al mondo la padronanza di se stessi, poichè sembra che solo attraverso di essa si possa dire di essere autonomi e indipendenti. E questa padronanza di se stessi passa attraverso il controllo del corpo, attraverso la sua cura ossessiva, imbrigliandolo in schemi affinchè possa essere dimenticato.
La corporeità, insomma, è la misura di quanto un soggetto sia socialmente "riuscito"; non più il pensiero, la capacità critica. Il corpo, che è limite, costituisce il vero terreno di battaglia contemporaneo: rifiutandolo per ciò che è, cercando di modificarlo continuamente e di farlo diventare il più possibile simile ad altri corpi. E tutto questo "non si effettua più in nome della verità o della virtù, bensì in nome del potere e della libertà". Lo scopo finale di questa operazione è liberarsi della finitudine, non essere più obbligati ad ascoltare le costrizioni, le debolezze del corpo.
Ma in tutto questo controllo ossessivo di ciò che appare, viene lasciato in secondo piano, viene dimenticato, ciò che l'uomo è. E in ciò, vengono dimenticate anche le ferite, che come in passato, altrettanto oggi sono ben presenti all'interno di ciascuno, in misura più o meno consistente.
Sembra che queste debbano essere cancellate il più in fretta possibile, rifiutate dal soggetto stesso che le porta, pena l'esclusione sociale. 
Ma che società è quella che non riesce ad accettare "la vulnerabilità degli esseri umani? Perchè è così difficile riuscire a <<fare qualcosa>> delle nostre ferite?"
Si può veramente comprendere una persona senza considerare le sue fragilità, i suoi limiti? E' davvero un bene voler dimenticare la dimensione della finitudine per apparire sempre forti e pienamente in grado di auto-controllarsi?